mercoledì 29 marzo 2017

Mio figlio è schizzinoso... o forse no?




«Mio figlio è schizzinoso»
«Mio figlio non ama sporcarsi giocando con la sabbia»
«Non c’è verso che mia figlia mangi i cavoli»
«Mio figlio mangia solo quello che cucino io».

Il termine schizzinoso richiama subito alla mente una persona che ha gusti eccessivamente difficili, esigenti e ricercati, specialmente nel mangiare e nel bere e pertanto si usa anche come sinonimo di viziato, soprattutto quando ad essere schizzinoso è un bambino.
Un bambino che non mangia, specialmente quando si è fuori casa, in ristorante o ospiti di amici, può creare dei disagi ai genitori, ma non significa che sia schizzinoso.
Bisogna quindi capire cosa si intende realmente per schizzinoso e qui le risposte sono le più svariate: mangiare solo gli stessi tre alimenti; mangiare solo quelli a cui si è abituati; mangiare tutti i cibi che vengono proposti all’asilo ma quasi nulla a casa, gradire solo alcune consistenze e rifiutarne altre; etc …
Sicuramente ciascun di noi farebbe delle osservazioni differenti in base alla percezione del proprio vissuto e alla conoscenza che si ha del proprio bambino.

Forse è proprio questo il punto: quando si parla di bambini spesso è tutta una questione di quella che è la nostra percezione e di quelle che sono le nostre proiezioni su di loro.
Spesso il momento del pranzo (o della cena o della colazione) può diventare un momento di tensione e di discussioni tra gli adulti (perché magari è l’unico momento in cui si sta a casa assieme e si può parlare) e ai bambini non piace vedere i propri genitori discutere animatamente, perché ritengono di esserne la causa.
Altre volte è proprio l’inappetenza del bambino a scatenare discussioni; altre volte ancora il bambino è più incuriosito da ciò che i genitori hanno nel piatto che da quello che lui dovrebbe mangiare.
In linea di massima, quindi, quando un genitore pensa che il proprio figlio sia schizzinoso in realtà egli sta ripetendo atteggiamenti appresi in famiglia, sta protestando per qualcosa, oppure sta manifestando il proprio disappunto riguardo quel determinato cibo.

Bisogna tenere presente che i bambini possiedono delle papille gustative efficientissime e molto sensibili ed effettivamente impiegano un tempo variabile ad adattarsi ai diversi sapori. Basti pensare ai tempi impiegati dai bambini molto piccoli nell’accettare i primi alimenti solidi durante lo svezzamento.
Ricordo lo sguardo che mi rivolse mio figlio quando assaggiò il primo cucchiaino di mela, sembrava inorridito e allo stesso tempo incuriosito sia da un nuovo sapore sia dalla nuova consistenza. È così per tutti i bambini, con le differenze che ciascuno porta con sé, differenze dovute all’alimentazione della madre durante la gravidanza e durante l’allattamento, differenze dovute ai gusti individuali e a quelli a cui si viene educati.
Le papille gustative vanno infatti educate, con calma, pazienza e sensibilità perché i bambini, soprattutto quando sono molto piccoli, percepiscono sapori e retrogusti che noi non avvertiamo più, per cui se “vivono” negativamente un alimento, lo ricorderanno come tale anche le successive volte che verrà loro proposto.

Ogni nuovo gusto è una sorpresa e necessita di tempo per essere in qualche modo compresa.
L’educazione delle papille gustative avviene quindi nel tempo, proponendo cibi freschi e vari,  presentati in modo accattivante, perché anche l’occhio vuole la sua parte, consumati serenamente e senza pressioni.
È nei primi sei anni che i bambini apprendono e riconoscono i vari sapori e le varie consistenze degli alimenti; durante tutto il periodo scolare, l’alimentazione diventa più meccanica e si mangia (o non si mangia) ciò che viene proposto perché la mente è presa da altro; poi, durante l’adolescenza, il cibo riveste altri ruoli e funzioni, ma alla fine, se si sono poste delle buone basi, in età adulta si potrà ritrovare un buon piacere nel gustare, scegliere alimenti, cucinarli e condividerli.

Un atteggiamento utile e costruttivo è sempre quello di dimostrare interesse per i gusti del proprio figlio, per cui un mio consiglio è quello di fare domande sul gradimento di un alimento, approfondire se piace il sapore, la consistenza, l’abbinamento con un altro cibo; parlare anche dei propri gusti, metterli in discussione, chiedere al figlio o all’altro genitore cosa ne pensa.
Un esempio può essere: «Oggi ho cucinato il pollo con i finocchi e le arance, a me sta piacendo moltissimo, tuo padre non ama molto i finocchi ma spero che in questo modo li possa gradire, altrimenti pazienza, vorrà dire che li mangerò tutti io! Tu invece cosa mi dici? Li senti dolci? Il pollo lo senti asciutto oppure è abbastanza tenero?»

Come gli adulti, anche i bambini, se sono presi sul serio, se vengono rispettati nelle loro posizioni anche quando differiscono dalle nostre, divengono, nel tempo, più flessibili e aperti alle varie possibilità della vita, comprese quelle offerte dall’alimentazione. Sentendo i propri genitori interessati a lui e ai suoi gusti in fatto di cibo, i bambini saranno portati ad attribuire, a loro volta, importanza e rispetto a se stessi, agli altri e al cibo stesso.


Inoltre, domandare e ascoltare i propri figli sui loro gusti e sulle loro percezioni sul cibo (ma più in generale su tutti i loro interessi) è un valido nutrimento del rapporto e un utilissimo esercizio per la formazione del pensiero che origina proprio dalla riflessione sulla propria sensorialità e quindi, in questo caso, dalla percezione e dal riconoscimento delle proprie sensazioni gustative per arrivare ad una loro interpretazione e descrizione in parole, favorendo una migliore comprensione di sé.

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