Quando
un bambino si ribella, si comporta male o combina un danno di proposito c’è
sempre un motivo. Così come per i comportamenti degli adulti.
In
questa occasione mi soffermerò sui comportamenti che comunemente definiamo
“capricci”.
I capricci esistono
eccome, ma non nel senso in cui li intendiamo noi adulti.
Secondo
il punto di vista dell’adulto, un capriccio è un comportamento arbitrario, che
non ha alcuna giustificazione e che non tiene conto né del contesto né delle
esigenze altrui. In pratica è un comportamento egoista e inaccettabile.
Dal
punto di vista del bambino, il capriccio è un modo più efficace di altri di
comunicare qualcosa che non è andato nel rapporto con chi si prende cura di lui;
è il tentativo di farsi ascoltare e vedere.
L’oggetto
del capriccio non ha nulla a che vedere con il reale motivo che lo ha scatenato
e infatti, se il genitore concede ciò che in quel momento viene chiesto, il
bambino troverà un altro sostituto o un altro modo per manifestare la sua
protesta.
Il
capriccio è un pretesto e i bambini sono consapevoli dell’assurdità della loro
richiesta, ma è l’unico modo che hanno a disposizione per protestare e mandare
un messaggio al diretto interessato. È come se dicessero: «Tu mi hai fatto un
torto prima e io ora reagisco così». E il torto viene sanato solo se si
ristabilisce il contatto emotivo.
All’origine
dei capricci, dunque, c’è un torto reale che il bambino ha subito.
Ogni torto subito è una
violenza.
Il
fatto di non compiere gesti di violenza fisica o verbale nei confronti di un
bambino non significa che non esistano altre forme in cui essa possa
manifestarsi e nessun eufemismo può nascondere che la violenza non è altro che
violenza e distrugge l’autostima e la dignità e l’integrità di chi ne è
vittima, oltre che di colui che la pratica.
I
genitori devono assumersi la responsabilità delle conseguenze dei propri gesti
anche quando questi non sono stati premeditati. Non basta che il genitore senta
di avere la coscienza tranquilla perché non ha violato le leggi e i diritti dei
bambini.
È
violenza non vedere i propri figli,
non riconoscere il loro bisogno
primario di affetto, di presenza emotiva e mentale e soprattutto di ascolto.
Come
tra gli adulti, anche nei rapporti con i bambini non contano tanto gli atti
quanto i vissuti che si comunicano e che si percepiscono. Non conta tanto l’intenzionalità del gesto da parte del
genitore (o di chi per lui) quanto la percezione
del gesto da parte del bambino.
Ciò che più ferisce i
bambini è la mancanza
di sintonizzazione affettiva.
Come
gli adulti, anche i bambini, quando sentono di non essere importanti, diventano
irritabili, aggressivi e frustrati.
Far
fronte a questi sentimenti va ben oltre le loro competenze e capacità.
A
tutti i genitori, nonni ed educatori può capitare di non essere presente
emotivamente per il bambino, per cui, più che soffermarmi su un discorso di
attribuzione di colpa, ritengo sia utile aprire una riflessione sul fatto che,
ogni qualvolta si assista a dei capricci, egli sta dicendo che non ci siamo
stati per lui.
Se
si assume la responsabilità di questo modo di vedere le cose si possono gestire
meglio le situazioni specifiche senza mettere in circolo aggressività e vissuti
difficili da digerire.
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