Sono domande semplici solo in apparenza.
La cultura influisce sulle modalità di sentire e manifestare il dolore, su come si può convivere con esso e sulla possibilità o meno di affrontarlo e in che modo.
Il dolore è uno scandalo.
In una società delle prestazioni e del benessere a tutti i costi, il dolore non sempre ha il diritto ad essere riconosciuto e narrato.
L''interpretazione che diamo dell'esperienza del dolore dipende dal periodo storico e culturale in cui si vive e dalla propria visione del mondo, della vita e della malattia.
Il dolore ha una dimensione soggettiva (come io lo sento e lo percepisco a livello fisico e psicologico); oggettiva (come viene misurato, identificato, curato a livello medico) ;
intersoggettiva ( come posso maniferstarlo e come influenza la mia vita privata, sociale, lavorativa; come viene interpretato da chi mi circonda e come esso modifica anche lo stile di vita di chi mi sta più o meno vicino).
Il dolore è un'esperienza che trasforma il rapporto che si ha con la famiglia, con gli amici, con l'ambiente di lavoro e con la società che ci circonda.
Trasforma il rapporto che si ha con sé stessi e con il proprio corpo.
Il dolore, soprattutto se intenso e protratto nel tempo, o del quale non si conosce la causa, non sempre ha parola, non sempre ha un nome, non sempre ha possibilità di essere detto.
Talvolta il dolore è inenarrabile, incomunicabile.
Il dolore rischia di isolare chi ne soffre perché se non lo si può nominare spesso è perché si teme di non essere creduti.
Il dolore è uno scandalo, eppure è parte della vita.
Nessun commento:
Posta un commento